Todd Haynes torna a collaborare con la sua interprete feticcio Julianne Moore, per un interessante dramma tutto al femminile, o quasi, capace di muoversi tra i linguaggi del melò, del thriller psicologico e del true crime, affondando i denti sulla morbosità dello sguardo, sul lato oscuro dello showbiz cinematografico/televisivo e su di una inedita femminilità maligna. In sala dal 21 marzo 2024
Quando l’adolescente Mary (Elizabeth Yu) sempre più prossima al college, chiede alla nota interprete televisiva, Elizabeth Berry (Natalie Portman), perché mai vorrebbe calarsi in un personaggio realmente esistito – o esistente -, pur consapevole della cattiveria di quest’ultimo, l’attrice le risponde: “Perché è la complessità delle zone grigie, quelle morali ad essere interessante”. È sufficiente questo scambio di battute per definire il senso profondo di May December, uno dei titoli meglio riusciti della carriera autoriale di Todd Haynes.
Todd Haynes sul lato oscuro dello showbiz cinematografico, tra David Cronenberg e Roman Polanski
Ripercorrendo le tracce del Cronenberg di Maps to the Stars, Haynes realizza qui una delle riflessioni più adulte e immediatamente dialoganti con l’immaginario televisivo/cinematografico e cronistico recente, sul dualismo della colpa e dell’innocenza, sul concetto di manipolazione, d’ambiguità morale dello showbiz e ancora, sull’inevitabile visibilità che spesso ne consegue, facendo propria un’aderenza totale, se non addirittura maniacale – e talvolta voyeuristica -, al realismo più intimo e crudo dell’animo umano, che da troppo tempo non osservavamo nella filmografia di Haynes e che siamo finalmente felici di ritrovare tra gli sguardi e le battute di May December.
Presentato in anteprima mondiale alla 76ª edizione del Festival di Cannes, May December, il decimo lungometraggio di carriera di Todd Haynes, conferma ancora una volta gli ottimi risultati di un sodalizio inevitabilmente destinato a ripetersi, quello tra lo stesso Haynes e Julianne Moore, che dopo Safe, Lontano dal paradiso, Io non sono qui e il più che dimenticabile, se non addirittura incomprensibile La stanza delle meraviglie, si ripete ancora, esplorando un aspetto della Moore, fino a qui molto poco osservato, che coincide con il maligno celato, l’ambiguità morale, la manipolazione sadica e al tempo stesso masochistica di una certa femminilità e con l’oscurità che sottilmente e sotterraneamente serpeggia silenziosa, per poi esplodere, mostrandosi definitivamente a ciascun personaggio, nelle vesti di una qualsiasi madre di famiglia, anche se forse, non così “qualsiasi”.
In una cittadina della Georgia che di tanto in tanto sembra strizzare l’occhio alla Louisiana di una certa stagione di True Detective, due donne di età ed estrazione sociale differenti si incontrano e scontrano, confrontandosi con il reciproco passato e così con il presente, in prima battuta apparentemente inconsapevoli, e poi sempre più vigili, rispetto ad una graduale fusione, o altrimenti immedesimazione, tra i due destini, che riflessi allo specchio tra sessioni di make up e verità non dette, mutano ben presto in duelli di pensiero e femminilità dagli evidentissimi echi Polanskiani, dunque carnali, inquietanti e fatali.
Se infatti Elizabeth Berry (un’ottima Natalie Portman, mai così seducente e insidiosa) è il frutto ancora acerbo e per questo disperatamente alla ricerca di maturità, dello showbiz cinematografico/televisivo che siamo soliti osservare pressoché quotidianamente tra giornali scandalistici, piattaforme streaming, sale cinematografiche e siti di gossip, Gracie Atherton-Yoo (Juliane Moore dalle parti della Kathy Bates di Misery non deve morire) è una madre di famiglia ormai oltre la cinquantina, con un passato più che ambiguo e misterioso alle spalle che non ha mai smesso di perseguitarla – le arrivano alla porta di casa delle scatole di cartone contenenti feci – ed un futuro dinanzi a sé colmo di silenzi, verità celate, manipolazioni e violenze psicologiche camuffate da semplici suggerimenti o rimproveri.
I modelli cui Haynes fa riferimento sono senz’altro, tanto il David Cronenberg di Maps to the Stars, quanto il Roman Polanski di L’uomo nell’ombra e ancor più, Quello che non so di lei. Ossia un cinema capace di riflettere sull’ambiguità maligna di una certa femminilità che dopo aver raggiunto ogni possibile traguardo della vita, si ritrova improvvisamente messa alle strette da un’altra donna più giovane, capace, seducente e per questo letale, senza mai giudicare, né condannare le scelte di ciascuna protagonista, restando imparziale, osservando ancor meglio l’inquietudine e la follia che inavvertitamente può esplodere nella quotidianità più monotona, rasserenata e banale.
May December: valutazione e conclusione
Tra i linguaggi e i toni della soap opera, Todd Haynes rileva abilmente la miccia capace di innescare dinamiche narrative proprie del thriller psicologico, se non addirittura del noir, sfiorando di tanto in tanto il melodramma, allontanandosene immediatamente, poiché maggiormente interessato agli psicologismi dell’inquietudine, dello sguardo e dell’attesa.
May December infatti, ancor prima d’essere un film di conversazioni – l’ottima sceneggiatura di Samy Burch e Alex Mechanik, ha ricevuto la nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, pur senza ottenerla –, è un film d’osservazione. Non è casuale che lo scopo della diva hollywoodiana interpretata dalla Portman, coincida con lo sguardo, o meglio, con l’assistere passivamente alla vita di Gracie Atherton-Yoo, che a sua volta vigila sulla presenza incessante di quest’ultima, dapprima di sottofondo e rilegata agli angoli – là dove i veri autori osservano – e poi sempre più centrale, protagonista e per questo temibile.
Il decimo film di carriera di Todd Haynes è un gioiellino, supportato da ottime prove interpretative curiosamente non considerate dall’Accademy, probabilmente per la dimensione minore di un film certamente singolare, capace di muoversi con maestria, leggerezza e tensione, dal dramma al thriller psicologico, fino al melò ed il true crime.
May December è al cinema a partire da giovedì 21 marzo, distribuzione a cura di Lucky Red.
Da non perdere!
Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4